Villa di Orazio – Ninfeo degli Orsini – Versante nord di Colle Rotondo – incrocio fosso vena scritta

 

 

  • Punto di partenza : Licenza, area archeologica Villa di Orazio
  • Tempo di percorrenza : 4 ore
  • Dislivello : 500 m
  • Segnavia : rosso-bianco-rosso n. 306
  • Difficoltà : percorso facile su un sentiero ben evidente tranne nel tratto ai piedi del versante roccioso di Colle Rotondo.
  • Massima altitudine : 934 m
  • Dove nei Monti Lucretili : spartiacque della valle del torrente Licenza, settore orientale del Parco
  • Come arrivare alla partenza : dal paese di Licenza si raggiunge l’area archeologica della Villa di Orazio (Km 32.500 via Licinese)

 

 

Periodo consigliato: tutto l’anno, particolarmente suggestivo l’aspetto dei corsi d’acqua dopo forti piogge.

Ci troviamo nel settore nord-occidentale dei Monti Lucretili, in quella porzione di territorio dove si apprezza maggiormente il paesaggio tipicamente sabino delle dolci colline e dei pendii costantemente acclivi caratterizzati dal geometrico disegno degli oliveti bruscamente interrotto ad oriente da una discontinuità morfologica rappresentata da un corrugamento montuoso così netto da esser definito dalla toponomastica, Monte Serrapopolo. Come già detto nella scheda introduttiva l’itinerario risulta di media difficoltà, un piccolo sforzo di orientamento ci permetterà di superare le tre vallecole boscose che si interpongono e limitano la visuale della costante ascesa lungo la dorsale M.Percalli-M.Serrapopolo. Mantenendo questa direttrice si eviterà di incappare in piccoli incidenti di percorso dovuti all’intersecarsi di piste aperte dal bestiame brado. Ciò che balza immediatamente agli occhi dell’osservatore è la prospettiva della dorsale, quasi una cresta, che si apprezza poco dopo aver oltrepassato il Convento di S.Nicola; l’orientamento con asse appenninico e la percezione dell’assetto tettonico dei Monti Lucretili è qui forse meglio che altrove evidente. Siamo, infatti, proprio al limite tra due delle quattro unità strutturali della falda sabina, l’unità 3 definita dalla superficie di sovrascorrimento torrente Licenza-M.degli Elci- M.Tancia (cima deiMonti Sabini occidentali) e l’unità 4, linea Olevano-Antrodoco particolarmente importante in quanto segna la successione dei sovrascorrimenti delle unità sabine su quelle appartenenti al dominio laziale-abruzzese, ovvero nella deformazione e sovrapposizione tettonica di sedimenti marini del Lias superiore e del Trias inferiore, (cfr. parte generale). Il tranquillo paesaggio delle collinette dalle morfologie dolci che si estende ai piedi della dorsale appare costituito da formazioni sedimentarie plioceniche di ambiente marino mentre alla base dei versanti risaltano gli accumuli detritici risultato dei processi erosivi di smantellamento dei gruppi montuosi.

Particolarmente interessanti e meritevoli di attenzione sono gli aspetti vegetazionali; l’escursione attraversa gli ambienti delle rupi calcaree esposte sui versanti sabini sede di formazioni rupicole a leccio prevalente inoltrandosi nei versanti interni fino alle quote più elevate osservando il bosco misto dominato da prevalenza di carpino e roverella lasciare spazio ai consorzi di transizione al faggeto con acero di monte, acero d’Ungheria e cerro e alle localizzate cerrete. La storia dei luoghi è sottolineata dalla presenza dell’eremo dei cappuccini di San Nicola, pregevole esempio di architettura religiosa arroccato su uno sperone calcareo; purtroppo il complesso versa attualmente in un forte stato di degrado che ne rende sconsigliata la visita. Luogo di estrema solitudine il Monte Serrapopolo può offrire incontri diretti e fornire indicazioni sulla fauna che frequenta questo settore.

Il percorso si snoda attraverso una delle aree più interessanti dell’intero comprensorio protetto; sono i luoghi dell’ameno lucretile del poeta latino Q.Orazio Flacco così legato a questo territorio. I più importanti aspetti archeologici, riferiti alla presenza della villa oraziana si fondono con la configurazione del paesaggio naturale, qui particolarmente indicativo ed esemplificativo dell’intera area protetta. Profonde forre fluviali, ambienti rupicoli, vere e proprie morfologie montane si incontrano percorrendo questo itinerario che permette in breve tempo di raggiungere il selvaggio nucleo del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili.

Cascate del fosso delle Chiuse
Gli aspetti morfologici sono dominati dalla presenza della profonda incisione valliva del fosso delle Chiuse, un bacino imbrifero tributario di destra del torrente Licenza che si apre sui versanti calcareo-marnosi di Colle Rotondo, Monte Morico e della dorsale di Monte Pellecchia-Pizzo di Pellecchia. In realtà proprio questa morfologia così accentuata indica la presenza di una delle aree di sovrascorrimento tra l’Unità 4 sull’Unità 3 della falda sabina (cfr. parte generale) mentre le formazioni geologiche che si incontrano sono le Marne di Guadagnolo (Miocene inf. e medio) e calcari-marnosi selciferi (Lias medio-Cretacico inf.). Proprio l’erodibilità della successione marnosa, infatti, determina questi profondi “canyon” sede di estese foreste, vera ricchezza del Parco. ” Spesso Fauno lascia agile il Liceo per l’ameno Lucretile e tiene sempre lontane le mie caprette dalla torrida estate e dai venti carichi di pioggia. In mezzo al bosco sicuro senza pericolo cercano gli arbusti nascosti e i timi qua e là le femmine del maschio fetido e non temono i verdi serpenti come neppure i capretti temono i lupi marzi, mentre, o Tindaride, le valli e le levigate pareti di Ustica declive risuonano del dolce suono del flauto. (…)” Così Orazio (Odi, I, 17) nella seconda metà del I secolo a.C descriveva l’atmosfera dei luoghi della villa donatagli dall’amico Mecenate, un’impressione ancora viva e palpabile che pervade chiunque attraversi i versanti della valle Ustica (valle del Licenza, antico Digentia).

Il carattere particolare di questo itinerario che permette di unire alla suggestiva escursione naturalistica la visita ad uno dei luoghi principe della memoria classica è legato sicuramente al tentativo di illustrare un territorio in un’ottica di lettura interpretativa dell’uso millenario che l’uomo ha evidentemente operato sui luoghi. Partendo proprio dalla visita del complesso archeologico della Villa di Orazio è facile percepire ancor di più il senso dell’ascesa ai luoghi della memoria, appunto l'”amoenum Lucretilem”. La villa donata da Mecenate ad Orazio tra il 33 e il 32 a.C. è in realtà una struttura costituita da più fasi edilizie. Della prima fase realizzata su un rilievo del gradino morfologico del torrente Licenza sponda destra, si conserva una grande struttura lunga oltre 100 metri e larga 43, orientata secondo un asse nord-sud. Secondo una schema planimetrico ricorrente, la villa in origine presentava la zona abitativa nella porzione debolmente rilevata, in direzione nord, annessa ad un lungo e vasto porticato sede del giardino interno. I paramenti murari della fase più antica sono facilmente riconoscibili per l’uso dell’opera reticolata realizzata attraverso la messa in opera di cubilia in calcare secondo uno schema a “nido d’ape”; gli ambienti si distribuiscono intorno ad un atrio e ad un cortile annesso al porticato perimetrale sul cui lato corto meridionale si apriva l’ingresso principale della villa.

Licenza. Villa di Orazio
All’interno del vasto giardino vi era una fontana – cisterna che raccoglieva le acque meteoriche e di ruscellamento. In un secondo momento, relativo alla cosidetta “fase oraziana” vengono aggiunte alcune strutture di servizio lungo il lato occidentale addossato al versante della montagna; si tratta di una piscina natatoria con annessa vasca per bagni e di una serie di servizi di tipo igienico. A testimonianza dello sviluppo di questi ambienti legati a riorganizzazioni idrauliche esiste una complessa rete di fognoli e condotti di adduzione delle acque di percolazione superficiale. Successivamente, durante la fase di sviluppo di età imperiale, lo schema racchiuso entro un limite prestabilito viene sconvolto con la realizzazione di una serie di ambienti dal carattere prevalentemente termale che si concentrano, per un migliore e razionale impiego della risorsa idrica, proprio nel settore del versante montano tra il perimetro esterno del precedente porticato e il rilievo. Tra queste strutture spicca un ambiente di forma ellittica la cui funzione non è ancora stata ben identificata. Si suppone che si tratti di un ninfeo o, secondo un’altra ipotesi che si tratti in realtà di un vivarium, ovvero una vasca per l’allevamento di specie ittiche per scopi alimentari, moda in uso nelle grandi ville imperiali. I rifacimenti di questo periodo sono comunque ben identificabili attraverso l’uso dell’opera laterizia. Fasi tardoantiche, quindi pertinenti a successivi riutilizzi dell’area, si concentrano anch’esse lungo il perimetro occidentale del corpo principale della villa; i recenti scavi archeologici ne hanno messo in luce porzioni interessanti, riconoscibili essenzialmente per la struttura delle murature realizzata attraverso ricorsi di conci e blocchetti in calcare disposti su piani orizzontali più o meno regolari. Materiali archeologici provenienti dal sito, tra cui frammenti di statuaria e decorazioni architettoniche marmoree, materiale ceramico, vetri, metalli e intonaci decorati sono conservati presso il rinnovato Antiquarium civico di Licenza, ospitato nel castello Orsini. Dopo circa centocinquanta metri in direzione delle pendici di Colle Rotondo si giunge al Ninfeo degli Orsini, pregevole esempio di architettura seicentesca, da cui si devia verso destra in direzione nord. Oltrepassate alcune costruzioni moderne presenti ai lati della strada che si dirige verso Licenza bisogna deviare a sinistra su una carrareccia con fondo in cemento, molto ripida, che inizia immediatamente oltre l’ingresso e la recinzione di una abitazione. I tagli nella roccia operati per la realizzazione della sede stradale permettono di osservare la successione delle formazioni marnose, sedimentazioni formatesi in ambienti marini di transizione tra piattaforma continentale e bacino più profondo caratteristiche di questo settore di passaggio tra le successione del Dominio laziale-abruzzese e la successione umbro-marchigiana (cfr. parte generale). Superato un cancello in legno il percorso si snoda sui versanti di Colle Rotondo, dapprima sede di pascoli cespugliati e in seguito ricoperti in parte da castagneti solo localmente monospecifici (ovvero con la sola presenza del castagno), ma spesso associati a noccioli (Corylus avellana), carpino nero e querce (cerri e roverelle).

Il castagno (Castanea sativa) non è molto diffuso nel Parco, la sua presenza è relegata in aree localizzate e circoscritte soprattutto a zone di impianto artificiale. Presente in alcune versanti orientali dell’area protetta, si rinviene sulla strada di collegamento tra San Polo ei Cavalieri e il Monte Morra a quote di poco superiori ai 700 m ed immediatamente ad occidente del centro di Roccagiovine, nelle vallate interne impostate oltre i 900 m del Colle del Castagnone (da cui evidentemente il toponimo) non lontano da Monteflavio e inoltre nei versanti settentrionali di Colle Rotondo. Nonostante la notevole importanza del frutto nell’economia montana derivante dall’elevato apporto nutrizionale delle farina di castagna ricca di zuccheri e amido, lo sviluppo di questa coltura nell’rea non ha raggiunto il carattere predominante delle grandi estensioni del vicino reatino (comuni di Collegiove, Ricetto, Ascrea ecc.) delle valli del Salto e Turano, dove ancora oggi questi boschi di castagno sono sfruttati per la produzione di marroni da frutto per le industrie dolciarie. L’uso del legname è anch’esso marginale in quanto non concorrenziale con i grandi bacini di approvvigionamento come, ad esempio, i Castelli Romani. Uno dei fattori limitativi alla diffusione del castagno nell’area risiede nella scarsa adattabilità della specie ai suoli prettamente carbonatici, mentre preferisce, come nelle zone menzionate, suoli argillosi (marne dell’area reatina sopracitata) o vulcanici (Colli Albani). La presenza di questi boschi localizzati costituisce per gli animali del Parco una risorsa importante: oltre al cinghiale, la castagna è appetita da numerose specie di mammiferi, come i mustelidi (martore,ecc.), scoiattoli e volpi, oltre a grossi roditori come l’istrice la cui diffusione si allarga a comprendere areali posti a quote superiori gli ottocento metri proprio in quest’area favorita dalla presenza della castagna. Diffuso probabilmente in modo estensivo dai Romani, il castagno è una specie originaria dell’Eurasia sud-orientale. Le prime attestazioni della presenza nel centro Italia ed in particolare nel settore compreso tra la Campagna Romana e l’Appennino abruzzese è legata allo sviluppo piuttosto consistente di colture già in periodi protostorici. Carotaggi effettuati nei sedimenti alluvionali degli antichi bacini lacustri di Castiglione (Gabii sulla via Prenestina nei pressi di Roma) e del Fucino confermano la presenza del castagno già a partire da 3500 anni da oggi. Diagrammi pollinici, ovvero grafici interpretativi del dato estrapolato dalla lettura del sondaggio, evidenziano proprio in questo periodo un aumento significativo dei pollini di essenze indicatrici di attività agricole. Superato uno dei tornanti del percorso si apre una bella veduta sul paese di Licenza e sulla frazione più elevata di Civitella; a sud si può intravedere la lunga dorsale appenninica dell’altro grande Parco Regionale dell’Appennino – Monti Simbruini nel settore soprastante il paese di Cervara di Roma. Estesa per oltre trentamila ettari l’area protetta include una vasta regione montuosa che raggiunge quote superiori ai 2000 metri; ricca di foreste presenta interessanti e vasti fenomeni carsici. Con il Parco dei Monti Lucretili ed altre riserve attigue costituisce un elemento di estrema importanza per la tutela del grande patrimonio naturalistico dell’ambiente montano, soprattutto nell’ottica di un completamento del grande sistema di aree protette appenniniche interregionale e nazionale. Proseguendo sul sentiero parallelamente alla parete rocciosa del Colle Rotondo si nota a valle nascosto tra la fitta vegetazione un fontanile ubicato alla testata del fosso Cimini, tributario di destra del fosso delle Chiuse. Poco oltre il percorso attraversa un’area dove si concentrano alcune cavità scavate nei calcari e nelle brecce, in questo luogo si notano evidenti segni di tagliate nella roccia operate al fine di realizzare la sede dell’antico tratturo. Alle aree pascolive e ai settori di ricostituzione della vegetazione con cespugli di ginestra (Spartium junceum) e pruni selvatici (Prunus spinosa), rovo (Rubus ulmifolius) e rosa selvatica (Rosa sp.) si interpongono aree boscate dove salendo, prevale la presenza dell’acero (Acer obtusatum, Acer pseudoplatanus) insieme al cerro (Quercus cerris).

Proseguendo la salita si supera un altro cancello in legno da cui, poco oltre, si può ammirare la profonda valle del fosso delle Chiuse con le incisioni torrentizie del bacino imbrifero. In alto, incombe il domo carbonatico di Pizzo Pellecchia (1325 m) estrema propaggine meridionale della dorsale di Monte Pellecchia. Sul medio versante si notano rupi calcaree con addensamenti di leccio (Quercus ilex) che colonizza questo tipo di ambienti. Da qui il percorso diventa evidente in quanto si sviluppa su una carrareccia con acclività costante dove talvolta incombono grossi massi di crollo provenienti dal disfacimento dell’orlo del terrazzo orografico di Colle Rotondo/Colle Cantamessa. In breve tempo si raggiunge uno dei tratti di maggiore suggestione del percorso caratterizzati dalla profonda escavazione dell’alveo del fosso Vena Scritta-fosso Cimini a spesa dei calcari marnosi. Veri e propri salti di quota ed in particolare una piccola ma violenta cascata, imprimono all’ambiente il carattere tipico degli biotopi di forra montana. Si sviluppano felci, come la felce maschio (Dryopteris filis-mas) dalle lunghe foglie monopennate, che svettano dal tappeto dei muschi favorite dalla forte umidità dovuta alla polverizzazione dell’acqua di caduta. Nel superamento di quest’area si giunge, in breve tempo, in prossimità della confluenza dei fossi di Vena Scritta-fosso delle Forme con il fosso Cimini dove il nostro itinerario si immette nella rete di percorsi interni (n. 4, 6, 5 di collegamento con Roccagiovine). A questo punto si propone una breve ma paesaggisticamente importante deviazione verso nord per raggiungere la cima del vicino Colle Cornazzani. Circa venti metri prima della recinzione e del passaggio che introduce ai percorsi sopramenzionati, si devia oltrepassando il corso del torrente Cimini per immettersi in un sentiero ricavato direttamente sul suolo roccioso. In circa venti minuti si raggiunge la dolce morfologia della cima del Colle Cornazzani costituita da un pascolo con roccia affiorante, ottimo balcone di visuale preferenziale verso l’Appennino abruzzese. Infatti come sfondo ai paesi di Licenza e alla frazione Civitella si osserva un vasto e movimentato corrugamento montuoso che si interpone alle alte vette del complesso del Monte Velino (2487 m) verso sud e l’imponente mole del Gran Sasso di cui si ammira la cima del Corno Grande (2914 m). Lo spettacolo offerto, ancor più evidente durante la stagione dell’innevamento che fa risaltare la grande continuità delle dorsali montuose, permette di riconoscere questi grandi gruppi insieme ad alcune aree limitrofe ed interposte, recentemente posti sotto tutela attraverso l’istituzione di una serie di aree protette. Si tratta del grande Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga (Lazio-Abruzzo) esteso oltre 140.000 ettari ed istituito con D.P.R 05/06/1995, del Parco Naturale Regionale del Sirente-Velino (Abruzzo), istituito nel 1989 (L.R.13/07/1989 n.54) che raggiunge un’estensione di 60.000 ettari. Si possono ammirare altri gruppi montuosi che ricadono in aree protette come la Riserva Naturale Regionale del Monte Navegna e Monte Cervia (Lazio, 1350 ettari, massima altitudine 1506 m) soprastanti le valli del Salto e del Turano (istituita con L.R.09/09/1988, n.56), visibile in direzione nord-est e la Riserva Naturale Parziale Montagne della Duchessa (Lazio, 3000 ettari, istituita con L.R.07/07/1990 n.70). Quest’ultima costituisce la continuazione in territorio laziale del parco abruzzese del Velino-Sirente e raggiunge i 2266 metri di altitudine con il Monte Morrone, individuabile come prolungamento occidentale della dorsale. Osservando l’interno del Parco dei Lucretili si noterà in direzione nord-ovest un rilievo, ben riconoscibile per l’aspetto piramidale della cima: si tratta di Colle Spogna (1147 m) sede del più elevato complesso fortificato medievale dei Lucretili. Le mura perimetrali del castello di Spogna costituiscono ciò che rimane di una struttura edificata durante la fase più antica del fenomeno dell’incastellamento (XI secolo). Noto dalle fonti fino dal 1011, risulta già in abbandono agli inizi del XV secolo (1416,1448). Con un binocolo è possibile osservare i lacerti delle strutture murarie del lato orientale della cinta difensiva, realizzate in ricorsi subparalleli di conci di calcare, . Alcuni addensamenti di agrifoglio (Ilex aquifolium) e isolati ciliegi (Prunus avium) si individuano nelle cerrete e nei castagneti (boschi purtroppo soggetti a tagli diffusi) lungo il versante di Monte Morico, mentre in vallecole localizzate i suoli argillificati delle marne resi umidi dalla percolazione delle acque permettono la crescita e lo sviluppo di isolati esemplari di pioppo tremulo (Populus tremula).

L’itinerario di ritorno ricalca il medesimo percorso e permette di soffermarsi sull’osservazione delle macere in opera a secco che si incontrano nell’ultimo tratto non lontano dal punto di arrivo. Caratteristiche del paesaggio antropico dell’Appennino calcareo, le macere erano destinate a diversi usi: spesso realizzate con lo scopo di contenimento dei suoli da coltivare lungo i versanti acclivi, delimitavano una serie di terrazzi; ben noti nell’area lucretile quelli del versante di Monte le Carbonere (Palombara Sabina) attribuibili all’età romana. In altri casi assumevano il ruolo di delimitazione dei pascoli e degli stazzi (aree circoscritte di ricovero armenti). Funzioni di contenimento delle carbonaie e segni di confine tra proprietà pubbliche e private. Spesso queste ultime si riconoscono per la presenza di allineamenti di querce ed altri grandi alberi risparmiati dai tagli, veri e propri testimoni e segnacoli che crescendo si vengono ad impostare nella sede stessa della macera. Le macere ombrose e umide divengono un habitat ideale allo sviluppo di specie botaniche rupicole come, ad esempio, l’ombelico di Venere (Umbilicus rupestris) e felci quali il polipodio comune (Polipodium vulgare), l’asplenio ruta di muro (Asplenium ruta-muraria).

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