San Nicola – Castiglione – Palombara Sabina

 

  • Punto di partenza : Palombara Sabina – Convento di San Nicola
  • Tempo di percorrenza : 3 ore
  • Dislivello : 300 m
  • Segnavia : rosso-bianco-rosso nn. 318 – 319 – 319A
  • Difficoltà : nessuna
  • Massima altitudine : 670 slm
  • Dove nei Monti Lucretili : settore sud-occidentale, versante del gruppo di M.Gennaro dominante il centro di Palombara Sabina
  • Come arrivare alla partenza : dal parcheggio di Palombara Sabina (vicino al deposito COTRAL), si percorre la via provinciale in direzione Marcellina per circa 500 metri girare a sinistra per via Strada Sedicesima.

Periodo consigliato: durante la ripresa vegetativa

Il percorso si sviluppa attraverso la fascia pedemontana del versante sud-occidentale di Monte Gennaro dove si apprezzano gli elementi antropici del disegno rurale antico con macere di pietre a secco, impianti degli antichi e famosi uliveti sabini, siepi di demarcazione in cui sono inserite emergenze archeologiche e storiche di notevole pregio ed importanza come il vasto complesso di terrazzamenti di età romana e gli imponenti resti del castrum di Castiglione. L’itinerario si sviluppa ai limiti della folta e rigogliosa formazione della macchia alta a leccio e roverella con elementi della macchia mediterranea ed essenze di origine balcanica di estremo interesse.

Il punto di partenza dell’itinerario coincide con il percorso 6 fino al superamento dei resti del convento di San Nicola; a questo punto si devia a monte del complesso verso nord lungo una carrareccia di origine romana che segue la fascia pedemontana. Immediata e suggestiva la visuale che si apre in primo piano sul complesso del Convento di San Nicola dominante l’antico centro di Palombara Sabina.
Suggestivo è immaginare l’antico ambiente costiero del mare pliocenico che lambiva queste morfologie appenniniche con a largo sull’orizzonte le paleoisole dei Monti della Tolfa e del Monte Soratte mentre prossimi alla costa si stagliavano gli isolotti costituiti dai rilievi carbonatici dei Monti Cornicolani. Con il proseguire dell’itinerario cresce la suggestione di un particolare paesaggio agrario antico in parte ancora in uso e fortunatamente salvo da riassetti successivi che ne avrebbero potuto compromettere il disegno. Si attraversa infatti l’attuale limite dei coltivi degli uliveti e dei ciliegi, altra peculiare produzione della zona palombarese, costituiti da appezzamenti definiti da macere in pietre di calcare a secco su cui si sono impiantante siepi che contengono un campionario delle specie arbustive ed arboree del piano submontano. Questa delimitazione dei coltivi, in parte rigorosamente seguita dalla carrareccia sede dell’itinerario, è un limite di “regressione” altitudinale raggiunto in età moderna a seguito del continuo processo di abbandono dell’agricoltura di montagna. Nel folto della vegetazione arbustiva della lecceta si intuiscono i terrazzamenti che seguono le isoipse del versante montano. Le strutture di terrazzamento del complesso Monte Le Ferule-Monte Le Carbonere, risalenti all’età repubblicana, costituiscono uno dei migliori esempi di opere di ingegneria agraria romana dell’intero Appennino; dal punto di vista tecnico la sistemazione dei versanti deve aver richiesto un enorme sforzo di contenimento dei conoidi di deiezione colluvio-alluvionale e della regolamentazione del regime idrico superficiale al fine di rendere produttiva un’area che rivestirà particolare importanza economica per tutta l’età imperiale. Famoso è il sistema di captazione delle acque con dighe-cisterne del ripido fosso della Scarpellata e le numerose attestazioni di ville rustico-residenziali della zona (San Nicola, Monteverde, Casale Antonelli, Casino Belli, Villa S.Lucia ecc.) anch’esse edificate su platee terrazzate. L’itinerario prosegue sempre in quota seguendo la curva dei 500 m, permettendo di apprezzare l’esuberanza della vegetazione dominata dalle macchie termofile a sclerofille con portamento arbustivo. I cromatismi e le forme, i continui inserimenti e gli straripamenti nei coltivi in abbandono con l’inserimento degli olivi nell’intricato paesaggio vegetale e le aperture verso i panorami sulla sabina, costituiscono un unicum di estrema suggestione. Le specie della macchia alta che si accompagnano alla fitta lecceta appartengono all’ associazione dell’Orno-Quercetum ilicis; nelle aree più aperte e meno condizionate dall’ombrosa configurazione della lecceta più fitta si sviluppano grandi arbusti di fillirea (Phillyrea latifolia), alaterno (Rhamnus alaternus), mirto (Myrtus communis), cisto (Cistus salvifolius), coronetta (Coronilla emerus) associati al terebinto (Pistacia terebinthus), all’albero di Giuda (Cercis siliquastrum), al carpino nero, al carpino orientale (Carpinus orientalis) e all’orniello.

Dopo circa un’ora si raggiunge la breve deviazione che conduce, verso nord-est al colle sul quale si ergono le maestose rovine del castello di Castiglione. Percorsi circa duecento metri si devia verso destra per raggiungere il castrum medievale; poche decine di metri oltrepassata la deviazione si scorge, sulla destra, un breve ma imponente segmento di terrazzamento di età romana in opera poligonale. Si tratta di un’opera ingegneristica di notevoli dimensioni che fa parte del più vasto sistema di terrazzamento (oltre tredici allineamenti conservati fino agli inizi del secolo) sviluppato lungo le pendici di Monte Le Carbonere fino alla base del rilevo nei pressi dell’attuale periferia di Palombara; purtroppo lo sviluppo dei nuovi insediamenti ha costituito un grave danno per la conservazione, impedendo di fatto una lettura integrale del dato topografico. Tecnicamente realizzato con estrema cura in poligoni di grosse dimensioni di calcare, si differenzia, proprio per la tecnica costruttiva, dal resto dei terrazzamenti dell’area costruiti in conci appena sbozzati e scaglie inzeppate al fine di consolidare l’intera struttura di contenimento. Il breve tratto che conduce alle rovine di Castiglione presenta un notevole interesse botanico per lo sviluppo della macchia a storace (Styrax officinalis), un’essenza arbustiva di provenienza balcanica importante indicatore biogeografico sulle dinamiche del popolamento vegetale appenninico La presenza di una specie orientale si inserisce in un più vasto contingente di essenze di riferimento balcanico probabilmente propagate in queste regioni precedentemente allo sviluppo del glacialismo quaternario; si tratterebbe quindi di specie relitte di una flora calda, subtropicale sopravvissute in questi settori ecotonali dei querceti termofili e nelle macchie a sclerofille mediterranee. Lo sviluppo della Styrax officinalis è circoscritto nell’ambito dell’intera penisola in modo significativo solo ai rilievi Lucretili e Tiburtini, dove localmente colonizza aree dismesse dal pascolo e dall’agricoltura partecipando alla ricostituzione del bosco con estese coperture monospecifiche (nei pressi di Tivoli). La riconosciuta rilevanza della specie nell’area ha fatto si che la specie botanica sia stata scelta come emblema del Parco.

L’itinerario giunge ora in prossimità degli imponenti resti della cinta muraria del Castrum Castillionis, uno dei migliori esempi di sito fortificato della seconda fase dell’incastellamento medievale del XIII secolo. Il processo di riaggregazione della popolazione attuato a seguito di una instabilità politica diffusa dell’epoca succede a quel lungo periodo iniziato con il controllo capillare del territorio di età tardo repubblicana in cui, invece, la dinamica del popolamento era stata legata a strategie d insediamento diffuso sul territorio con la creazione di strutture produttive legate alla parcellizzazione romana mantenute sostanzialmente inalterate fino in età tardoantica (IV-V sec.d.C). Le stesse strutture romane furono riutilizzate nell’Alto Medioevo per l’edificazione di centri religiosi (complesso di San Nicola). Le frequenti incursioni “saracene” e le lotte tra famiglie emergenti imposero successivamente un nuovo modello legato all’accentramento intorno a centri fortificati che, possedendo caratteri difensivi, polarizzarono la gente delle campagne. La planimetria del castello definisce il classico modello castellano: una prima cinta muraria esterna con torri circoscrive un’area intermedia periferica al nucleo interno nella quale si estendeva un agglomerato rurale costituito da strutture abitative a due piani sovrapposti con tetto a doppia falda. Quest’area veniva utilizzata per mantenere gli animali e lavorare fazzoletti di terra in caso di pericolo o assedio. Una seconda cinta muraria interna, analoga architettonicamente a quella esterna racchiude il nucleo del castello, residenza del signore. La probabile riutilizzazione del sito, già occupato in precedenza da strutture di età romana, è testimoniata dalla presenza di una grande cisterna sicuramente ancora in uso durante la fase di vita del castello. Le mura presentano un paramento murario realizzato con ricorsi regolari di blocchetti di calcare, tecnica più raffinata rispetto a quella che si osserva generalmente negli insediamenti fortificati appartenenti al primo processo d’incastellamento della regione montuosa. Fondato probabilmente intorno alla seconda metà del XIII secolo da Rinaldo di Palombara, diviene possedimento della famiglia Savelli con Giacomo, Papa Onorio IV, intorno agli ultimi decenni del XIII secolo per poi venire abbandonato agli inizi del XV secolo.

Una sosta sul sito permette di osservare il particolare ambito di transizione tra le fitte formazioni termofile della lecceta che ricoprono tutto il costone di Monte Matano e i boschi misti mesofili che si sviluppano lungo il versante orientale e settentrionale della profonda valle di Casoli. L’interesse dell’area da un punto di vista faunistico è rilevante; con il divieto dell’attività venatoria a seguito dell’istituzione dell’area protetta le fitte formazioni forestali sono state ripopolate dalla comunità ornitica che frequenta questi ambienti mentre lo stesso complesso monumentale di Castiglione rappresenta un “biotopo” ruderale frequentato da numerosi animali dai comportamenti elusivi. In una recente visita è stato rinvenuto un tasso (Meles meles) ferito che, prontamente soccorso dal servizio veterinario del WWF è stato salvato e rilasciato a guarigione avvenuta. Un breve tratto di carrareccia permette di raggiungere il paese di Palombara Sabina in meno di mezz’ora.