La via del “Ginocchio di Bove” e le antiche carte dei Monti Sabini Meridionali

Il “ginocchio di bove” presta il nome a un’antica via di percorrenza che dall’abitato di Scandriglia portava ad Orvinio (dal Medioevo fino alla nostra epoca), usata specialmente per lo scambio di merci. L’origine di questo nome è legato ad alcuni racconti di paese.
Tra i due paesi si vociferava di un povero bove che, trasportando in processione la statua della Madonna e affaticato dal viaggio, sul punto di cedere sotto il peso del carico poggiò il ginocchio su una roccia che in quell’istante divenne morbida come un cuscino di piume, lasciando una traccia ovale sul sasso carsico: un miracolo della Vergine, mossa a compassione dal povero bove che la trasportava. Chissà se alla Madonna faceva piacere essere trainata fino a sfinire un umile animale! La seconda leggenda è collegata sempre allo scambio di merci e il protagonista è sempre il povero bove: si raccontava che lo stesso, trasportando un tronco di ginestra, stanco per il troppo peso, diede una “ginocchiata” sulla roccia. Difficile immaginare un tronco di ginestra, più plausibile che ci si riferisse ad un “tronco da Ginestra”, piccola frazione del reatino.

“Ginocchio di bove” (the knee of the ox) is the name of an ancient traveling way from Scandriglia to Orvinio, specially used for the exchange of goods. The origin of this name is linked to some of the stories of the country.
There were rumors of a poor ox, carrying in procession the statue of the Madonna, tired from the trip, that collapsed under the weight of the load resting the knee on a rock became at that moment soft like a feather pillow, leaving a trace on the oval stone karst. The second legend tells that the ox, carrying a trunk, tired from too much weight, gave a knee on the rock.
La cartografia antica dei Monti Sabini Meridionali
La mulattiera del “ginocchio di bove”, utilizzata dalle popolazioni locali sia come semplice via di collegamento che come rotta per scambi commerciali tra Scandriglia e Canemorto (antico nome di Orvinio), nel ‘600 fu dimenticata. Sono molti i percorsi modificati e dimenticati nella storia e le antiche mappe cartografiche costituiscono spesso una testimonianza preziosa dei cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli. La prima carta con località posizionate e rilevate è la mappa della Campagna romana elaborata nel 1547 da Eufrosino della Volpaia, costruita sulla base di misurazioni effettuate con grande meticolosità lungo le vie consolari in uscita da Roma e della posizione geografica di alcuni insediamenti rilevata con la bussola. La carta rimase per oltre un secolo il principale riferimento cartografico del territorio laziale e a partire da questa furono elaborate molte altre rappresentazioni cartografiche.
Alcune cartine erano raffigurate attraverso la rappresentazione prospettica. Individuate le stazioni in cui fermarsi, venivano ripresi schizzi panoramici che servivano per l’elaborazione cartografica. Molti gli errori che si protraevano nel tempo da un autore all’altro, in alcuni casi successivamente modificati. Numerosi cartografi si ispirarono successivamente a Eufrosino: fra questi Athanasius Kircher (1602 – 1680), Luca Holstenio (1596-1661), che effettuò molte escursioni nella Sabina meridionale, e l’abate Mattei (Nova et esatta tavola topografica del territorio di Roma 1674, scala 1:300mila). Molto importante è la “Carta della provincia di Sabina” dell’incisore cartografico D. Campiglia del 1743. Ma il più importante documento cartografico del Lazio è forse la carta “Diocesis et Agri Tiburtini topographia” pubblicata nel 1739 dall’abate De Revillas y Solès, il primo ad inserire le misure trigonometriche: l’orografia non è più la convenzionale maginiana, ma la prospettiva raddrizzata. Nel 1770 venne stabilita una rete trigonometrica di 1°ordine con nove vertici (Boscovich e Maire), con la triangolazione più elevata del Monte Gennaro.